Ad Ortigia come a Gallipoli gli autoctoni hanno due usi lessicali/grammaticali che dimostrano inequivocabilmente quanto esse siano isole fino in fondo.
1. Per lo stato in luogo non si usa la preposizione “a” quanto piuttosto “in”: in Ortigia, in Gallipoli. Se ci si pensa, la stessa preposizione si usa per Sicilia o Sardegna, che certamente sono isole.
2. Per indicare l’isola si parla di “scoglio”, proprio come fanno tutti, e dico proprio tutti, gli isolani delle isole remote tutte.
Detto ciò, Gallipoli, che in greco vuol dire “Città bella”. Un posto pazzesco. Una città che per almeno 300 anni fa fu l’equivalente di Dubai oggi per il quasi monopolio in tutta Europa dell’olio lampante (quello cioè adibito all’illuminazione), che illuminava le strade da Londra a Oslo. E siccome i confini dell’isola quelli sono, ed era fatta interdizione di costruire al di fuori di essa, cioè oltre il cortissimo ponte, nacquero 34 frantoi ipogei dove si produceva olio. 34! Altra chicca: in Gallipoli non ci sono piazze, non si poteva sprecare il poco spazio esistente! E infine in Gallipoli non si balla la pizzica, che rappresenta l’essenza campagnola del Salento: si preferivano i canti melodici stile napoletano, per intenderci.
L’accoglienza e gli incontri sono stati indimenticabili e particolarmente arricchenti. Per cominciare, il Circolo della Vela Gallipoli, tramite Massimoe Glauco, che ha accudito Maribelle e mi ha fatto sentire un velista vero (cosa che non sono).
Poi l’incontro con due ragazzi fantastici, Enrico e Renato dell’Associazione EMYS, che hanno dato vita, lottando e sgomitando per difendersi dai mostruosi interessi turistici, a un luogo magico: il Laboratorio Urbano Liberalarte Gallipoli. In un ex chiostro monastico, insospettabile dietro una porticina sui bastioni della città, un contenitore di arte, artigianato, innovazione e tradizione dove in una sala si osserva un’esposizione di quadri da toccare, in un’altra ci si immerge fra balene e tartarughe con occhiali da realtà virtuale (gioia dei più piccoli) o in un’altra ancora si ascoltano i suoni associati alle mille tradizioni gallipoline declinate secondo le quatto stagioni.
E poi l’incredibile, vulcanica e dolcissima Raffaela, architetto salentino nata a Milano responsabile culturale del Castello di Gallipoli. Altro posto incredibile che, da discarica che era fino al 2014, grazie a Raffaela e ai suoi collaboratori è diventato il polo culturale della città, con mostre (in questi mesi una intelligentissima sui selfie dal titolo #selfati!) e soprattutto eventi (yoga, aperitivi tematici, serate musicali) che provano caparbiamente ad avvicinare i turisti, che purtroppo in Gallipoli non spiccano, diciamo così, per livello culturale eccelso (Gallipoli negli ultimi anni è diventata l’Ibiza italiana) al mondo della cultura.
In poche isole, davvero, ho trovato un tale attaccamento allo scoglio, alle sue tradizioni e alla sua identità come in Gallipoli.
È ancora più duro, stamani, lasciare questo posto a cui, per vicende personali passate, ero già parecchio legato. In più, davanti a me la tappa più lunga, fino alle Tremiti: si prevede pochissimo vento e sempre contrario, calore estremo e un incontro con un altro mare ancora, l’Adriatico, ancora diverso, ancora unico. Con l’ombra di Venezia che da Nord incombe, ombra storica della megapotenza marinara che fu e ombra personale dell’ultima tappa di questo pazzo viaggio mio…
Pubblicato il: 6.Ago.2018 Lascia un commento